Il mio obiettivo per l’esordio in maratona era arrivare in condizioni accettabili e, possibilmente, entro tre ore. La domenica precedente avevo corso la Gran fondo del Sulcis, 25 chilometri di corsa in montagna; un abbinamento fortemente sconsigliato, ma per me irrinunciabile. Ero ottimista sulle mie capacità di recupero, ma il giovedi’, in allenamento mi sono sentito ancora piuttosto stanco e dolorante in diverse articolazioni e mi sono un po’ preoccupato. Sabato mattina prima di partire per Roma ho fatto l’ultimo test: sei chilometri a ritmo maratona; è andata un po’ meglio ma dubitavo di riuscire a tenere quel ritmo per 42 km. Dopo il viaggio e aver ritirato il pacco gara all’eur, sono andato da mia cognata per l’ultima cena: due etti di pasta (questo è il tipo di dieta che mi piace) pane e formaggio, un paio di bicchieri di vino e un dolcetto.
La mattina dopo, sveglia alle 7, the e biscotti, una spalmata di balsamo alla schiena ancora un po’ dolorante e vaselina nei punti delicati per prevenire vesciche e irritazioni, pantaloncini e maglietta della società, doppio nodo alle scarpe (l’esperienza insegna), il cambio in una busta, infilo una giacca ed esco, accompagnato dal cognato fino alla metro. Non serve il biglietto, si passa mostrando il pettorale: 13271. Nel treno noto diversi maratoneti; sono l’unico già in pantaloncini ma non mi preoccupo perché la temperatura è piacevole. Mi siedo e scambio due chiacchiere con un corridore romano. Si scende a Circo Massimo. Il colosseo sullo sfondo, da un lato una lunga fila di bagni chimici ognuno con una fila di gente in attesa che formano cosi’ un rettangolo di runners pronti a liberarsi delle ultime zavorre, dall’altro lato i camion per la raccolta dei cambi dove lascio le mie cose. Decido di non scaldarmi e mi avvio, aggirando il colosseo, verso la mia zona di partenza. Essendo all’esordio, sono costretto in un recinto ben lontano dalla linea di partenza. Nella mia stessa zona, noto i pacemaker con dei palloncini attaccati al collo: ci sono quelli per finire la gara in 5 ore, 4h 45, 4h 30 e 4h 15. Avanti, molto avanti, circa 10000 runners più avanti intravedo i miei palloncini gialli delle 3 ore. Alla partenza crolla la diga e un’ondata di corridori comincia a fluire lungo la strada. Noto un fenomeno curioso: il lato della strada si ricopre improvvisamente di runners ognuno a segnare il suo metro di territorio; anch’io sento un vago stimolo ma tiro avanti e anzi, approfitto del vuoto lasciato per guadagnare qualche posizione. Quando passo sotto lo striscione di partenza l’orologio ufficiale segna 55” (temevo molto peggio) e … via, comincia l’inseguimento: voglio il palloncino giallo! L’inizio è un po’ faticoso, gli spazi sono molto limitati e per andare ad un ritmo decente sono costretto a continue accelerazioni e slalom fra gli atleti più lenti. Al secondo chilometro passo in 9’25 (real time) e calcolo che i palloncini gialli sono passati da 1’50”. Gli spazi diventano via via più larghi e si comincia a correre abbastanza agevolmente; solo in prossimità dei vari pacemaker si formano agglomerati più densi e difficili da attraversare. Sto andando a poco più di 4’ al chilometro senza eccessivo sforzo grazie anche ad un leggero vento a favore e all’adrenalina. Ogni tanto fra centinaia di nuche saltellanti spuntano degli occhi. Appartengono ai “retrorunners”, un set di replicanti “blade runners” assemblati al contrario. Poco oltre supero un atleta con delle protesi da metà coscia in giù. Trovo incredibile come riesca a correre a quel ritmo con quel handicap e mentre lo sorpasso gli applaudo; lui mi sorride riconoscente. Non sono solo, dietro di me sento altri atleti che lo incitano per nome: vai Richard! Eccoli! Intorno all’ottavo chilometro sono ormai molto vicino ai miei palloncini, la caccia è finita. Vinco la tentazione di superarli continuando al ritmo precedente e mi accodo diligente al gruppo delle 3 ore. Comincia la parte più tranquilla e noiosa della corsa, non si deve pensare a niente; correre e basta. Scambio due parole con un atleta di Domusnovas ma arriva il rifornimento, si rimescola il gruppo e lo perdo di vista. Ad ogni rifornimento (ogni 5km) prendo qualcosa, acqua, gatorade o spicchi d’arancia, e, a causa anche dell’affollamento perdo un po’ di tempo rispetto al gruppo. Al ventesimo, in particolare vedo i palloncini un po’ troppo lontani davanti a me e decido di superarli. Poco dopo la mezza sono avanti al gruppo; si sta meglio, c’è più spazio anche se si sente di più il vento contrario. Ma non c’è niente da fare: al rifornimento dei 25 vengo reinghiottito dal gruppone. Sto ancora abbastanza bene: sento un lieve indolenzimento all’esterno delle cosce e sotto il piede destro; in compenso la voglia di pisciare è passata del tutto. Al 32 allungo un po’, supero il gruppo e me ne vado; comincia la parte più bella della corsa: le gambe vanno bene; capisco cos’è la crisi dei 30 solo guardandomi intorno: moltissimi atleti che sembrano andare all’indietro. Non mi lascio impietosire e mi godo le incitazioni dei turisti e la bellezza del centro di Roma: piazza navona, corso Vittorio, via del corso, piazza del popolo, sono al 37 e continuo a superare concorrenti stremati. Dopo il giro della piazza ahimè comincia via del babbuino. Il fondo in sampietrini è molto irregolare e dopo pochi passi sono costretto a rallentare per evitare crampi. Piazza di Spagna, fontana di trevi, le meraviglie di Roma scorrono accanto a me ma mi lasciano quasi indifferente rispetto alla bellezza dei numeri “38” “39”; vengo superato dai primi palloncini gialli. Il gruppo non esiste più e solo una decina di atleti segue il pacemaker. Vanno troppo veloci per me. Per fortuna, quando passa il secondo pacemaker, i sampietrini sono finiti. Mi accodo al gruppetto di pochi disperati e ascolto gli incitamenti del pacemaker. Piazza Venezia, “40”, ancora qualche saliscendi ma non fa male, ho ancora buone energie. Colosseo. Al 41 allungo, supero il pacemaker e mi godo gli ultimi momenti della corsa. Via dei fori imperiali. Finalmente vedo il traguardo, l’orologio ufficiale va avanti inesorabile ma è ormai vicino. Lo fermo a 2h59’43”. Sono molto soddisfatto, stanco ma non stravolto; mi volto per complimentarmi con gli atleti arrivati con me ma vedo solo volti disfatti incapaci di un sorriso. Finalmente qualcuno parla: è il pacemaker. Lo ringrazio; ha ancora i palloncini gialli. Se gliene avessi chiesto uno sono sicuro che me lo avrebbe dato e questo racconto avrebbe avuto un lieto fine ma … ahimè non ci penso e l’occasione sfuma. Pazienza, mi toccherà farne un’altra.
Lorenzo Pisani