Capita che una domenica pomeriggio di metà novembre ci si trovi appena dopo pranzo al campo di Monserrato, quello per intenderci dietro la caserma dei vigili del fuoco di viale Marconi.
Manca poco all’inizio della partita e dalla quantità delle auto parcheggiate un po’ alla rinfusa, si capisce che quella di oggi è così come è stata definita, la partita di rugby più importante dell’isola, almeno per oggi.
Già, la sosta dei campionati maggiori dovuta agli impegni di novembre della nazionale, consente ad una partita di serie C di diventare il match del giorno.
Tra gli spettatori già seduti sugli spalti, tra quelli che stanno ancora arrivando, tra i dirigenti, i giocatori dell’una e dell’altra squadra, ci sono amici da sempre che hanno giocato tante partite, a volte insieme e a volte contro, che hanno spesso condiviso successi e sconfitte, che nell’intervallo e a fine gara hanno bevuto l’acqua dalla stessa bottiglia.
E, visti i ristretti confini della nostra isola, potremmo anche pensare che molti tra questi oltre che amici e compagni siano alla fine anche parenti.
Tranne due.
Uno, Juan, argentino, l’altro, Martin, inglese.
Uno allenatore del Cagliari e l’altro del Sinnai.
Entrambi considerano il rugby molto più che uno sport, giungono da esperienze diverse solo perché maturate in continenti differenti, solo perché quando dall’uno ti sorprendeva il tramonto, dall’altro il sole cominciava a sorgere.
Per loro il mondo non è tondo.
Per loro il rugby è il mondo e il loro mondo è ovale.
Convinti credenti di quei valori dei quali questo sport è intriso quali il senso dell’amicizia, il rispetto delle regole, il sostegno al compagno, all’amico, nella vita ed in campo.
Sono amici, si sono conosciuti tempo fa a Capoterra, hanno allenato insieme i ragazzi delle giovanili.
Oggi, avversari, in questa domenica pomeriggio assolata di metà novembre.
Si gioca. Sarà una partita combattuta, non importa chi, poi, vincerà, loro hanno già vinto.
Sono lì in un rettangolo verde, circondati da persone, conoscenti, appassionati, amici, tutti intorno a quel campo, a quella palla, a quei trenta scalmanati che la inseguono.
E’ vero, Juan e Martin no, non sono parenti, loro sono di più, sono fratelli, fratelli di rugby.
Antonio Falda