Il pensiero di correre a New York
La maratona di New York sta a un amante della corsa come Disneyland sta a un bambino di 6 anni. E’ un pensiero vago ma affascinante che si fissa nell’immaginario della persona e che diventa spesso il punto di arrivo di una discussione. Non so se si tratta della maratona più bella del mondo, se è organizzata meglio di tutte o se vanta la più massiccia adesione di partecipanti; la mia non grandissima esperienza di maratone non mi consente di esprimere che alcune impressioni. Di certo è la più famosa. L’accostamento con Disneyland serve per indicare anche il grande divertimento prima, dopo, ma soprattutto durante la gara; è questo il destino di chi la corre. Divertimento e gioia a livelli da commozione, almeno finché la stanchezza non prende il sopravvento su quello che ti sta intorno costringendoti a una grande concentrazione per arrivare alla fine e indossare la famosa medaglia. E adesso che è fatta il pensiero non sparisce, rimane appeso come un nuovo invito e anche se è passato qualche giorno la voglia di tornarci presto non si allontana e si fissa nella mente.
In tre da Capoterra
Certo Capoterra non è un covo di maratoneti, il calcio e la recente e bellissima realtà del rugby sono gli assi sportivi più robusti del territorio anche se pallavolo, ciclismo e la giovane società di atletica provano ad affermarsi stabilmente. Tuttavia a poco a poco la tentazione di correre la maratona si sta diffondendo e in pochi anni ben undici residenti si sono avvicinati a questa strana esperienza. Un campione olimpico del passato disse “se vuoi correre corri un miglio, se vuoi conoscere una nuova vita corri la maratona”, una frase che sintetizza benissimo la sfida dei 42 km. Chi scrive queste righe ha avuto la fortuna di correrne tre in un anno e mezzo pur con doti fisiche non eccezionali e con una preparazione non sempre impeccabile; questo anche per far capire che la sfida della maratona è alla portata di chiunque sia in condizioni fisiche accettabili e con una buona predisposizione mentale allo sforzo prolungato. Le strade di Is Olias a Capoterra sono spesso popolate da strani individui caracollanti che si dirigono verso la montagna. La domenica mattina di solito si ritrovano per una corsa lunga, a dispetto delle polpette con i peperoni e della pizza mandata giù il sabato sera e ogni tanto i loro discorsi si trasformano in propositi di maratona; così sono nate le recenti esperienze di Roma, Firenze e adesso di New York. E forse anche sull’onda della recente spedizione ecco che si comincia a parlare del 2008 e si fanno i nomi di illustri città europee e probabilmente toccherà anche a Madrid, Barcellona o Londra ospitare qualcuno dei figli di questo paese, nativi o “istrangiusu”. Anselmo Serreli, Benedetto Deriu e Antonio Cingolani sono riusciti a realizzare un piccolo sogno e a portare scarpe da corsa e famiglia in una delle più belle città del mondo.
Arrivare a New York
Le strade che collegano l’aeroporto alla città sono anonime e larghe, i veicoli non sono per niente europei, le dimensioni sono maggiori, ogni auto sembra corazzata. Un ora e mezza per arrivare dall’aeroporto all’albergo situato a Manhattan. Lo scenario durante questo tragitto non è eccezionale, molte industrie, soprattutto strade e svincoli, cerchi di guardarti intorno e di capire come fa la gente a vivere e ti domandi se riusciresti a cavartela in quel traffico spaventoso. Dopo 9 ore di aereo sei sfinito e “piaggiato” sul sedile del pullman e ti aspetti di poter vedere almeno qualche scenario particolare durante il tragitto verso l’Hotel. Quando stai per perdere le speranze e il sole comincia ad abbassarsi ecco che all’improvviso vedi un paio di grattacieli, poi un altro e un altro ancora e poi tutti….. una montagna di edifici e grattacieli in mezzo a una baia!! Lo skyline di Manhattan è davvero impressionante, impossibile da descrivere, solo i paesaggi di alta montagna riempiono lo sguardo in misura superiore. Si tratta di una assoluta meraviglia che lascia a bocca aperta, lo vedi per qualche minuto e ti aspetti di raggiungerlo passando sopra un ponte, uno dei tanti, ma per arrivare a Manhattan ci sono altre soluzioni e si percorre una lunga galleria sotto l’East River. Alla fine del tunnel sei nel cuore della Grande Mela, circondato da palazzi lucidi e strade larghe e trafficate, con i marciapiedi a tratti brulicanti di persone.
Il gruppo dei sardi e la corsa dell’amicizia
In 64 i sardi presenti a New York, davvero un bel gruppetto, capitanati da Francesco Calledda, alias Zigheddu, 69 anni e alla sua settima maratona di New York. Un bel clima già sull’aereo che li ha portati da Roma a New York; castagne, noccioline e torrone venivano distribuite a tutti i passeggeri da un Zigheddu in splendida forma e che ha dato sfoggio di una bellissima berritta sarda, oltre alla solita, immancabile, bandiera dei 4 mori. Il giorno prima della maratona si è svolta la tradizionale Corsa dell’Amicizia dal palazzo dell’Onu al Central Park, una corsa di 4 Km dove i vari podisti si sono ritrovati contraddistinguendosi per provenienza. E così i giapponesi erano vestiti da combattenti o da Geishe, con tanto di acconciature e spade di plastica, non da meno gli inglesi vestiti da poliziotti Bobby, anche se con i pantaloncini corti; presenti anche gli svedesi con tanto di corna e le spagnole vestite da sfavillanti ballerine andaluse; tantissime bandiere di tutte le nazioni. In grande evidenza le bandiere della Sardegna, almeno dieci, con il solito Zigheddu a calamitare le attenzioni e a fare gruppo cantando Nanneddu Meu o baciando, ricambiato, le numerose e scherzose ragazze nordiche. Molte bandiere sarde ma pochissime bandiere italiane, ne ho visto solo una davanti al gruppo. E’ evidente come gli italiani non abbiano il culto della loro bandiera, mondiali di calcio a parte. Erano presenti e numerose le bandiere di tutte le grandi nazioni europee, quelle statunitensi erano le più presenti. Ma le bandiere sarde non sfiguravano e il gruppo che le portava era davvero piuttosto vivace.
La cosa più interessante di New York
Prima di partire pensavo che avrei avuto modo di ammirare le impressionanti costruzioni, la Statua della Libertà o il suggestivo museo dedicato agli emigranti a Ellis Island, tanto per citare alcune caratteristiche, alcuni emblemi della città. Certo quello che ho visto è eccezionale, ma non pensavo che avrei avuto voglia di sottolineare l’atteggiamento della gente che vive a New York. Si tratta di persone predisposte a farsi capire e a rendersi utili. La loro è una mentalità aperta ed è stata la sorpresa più bella di questa “vacanza podistica”. Ci saranno capitati almeno una dozzina di episodi significativi che possono spiegare meglio la cosa; come ad esempio la ragazza nera che ci ha visto aspettando un taxi in una strada dove stranamente non se ne fermava uno ed ecco che ci veniva in aiuto suggerendo di andare in un altro punto dove più facilmente avremo trovato il taxi libero; ancora.. a un incrocio di discuteva tra di noi della necessità di mangiare qualcosa di europeo e possibilmente italiano ed ecco che un signore bianco si avvicina e ci consiglia con precisione un ristorantino a poche decine di metri; oppure un taxi che si ferma per sconsigliarci di andare in una certa direzione perché priva di corsia pedonale e quindi pericolosa per andare a piedi . Insomma tutta una serie di episodi piccoli ma significativi che la dicono lunga sulla loro mentalità, sulla abitudine a convivere, a condividere e a dialogare con altre persone e altre razze. Esiste una ricerca semplice del dialogo. Non appena certi comportamenti hanno cominciato a colpirmi ecco che ho cercato di stare più attento ai comportamenti generali; anche per questo, pur non essendo un sociologo o un esperto dei comportamenti umani, mi sento di poter dire che non c’è frenesia, la gente è anche curiosa e cammina guardandosi intorno e interviene senza troppi formalismi. La mia è una considerazione che chiaramente tende a generalizzare ma l’intenzione è quella di rilasciare un meritato giudizio positivo a prescindere anche da alcuni aspetti meno nobili che si possono immaginare come ad esempio la tendenza diffusa a “fare business” o il modo di mangiare food non proprio salutare. Certo può essere che chi leggerà queste non immortali parole sia stato scippato in passato in un vicolo di New York, considerata ormai, dopo l’amministrazione del sindaco Giuliani, la città più sicura d’America. Però dovevo perdere qualche minuto per dire la mia e in qualche modo ringraziare chi vive in quella città trasformandola da impressionante a rassicurante. Il giorno della gara poi è stata una vera festa, qualche milione di New Yorkesi allineati sui bordi dei marciapiedi a fare un tifo da stadio: Go Mino!! Go Antonio!! Go Sardegna!! Go Italia!! Queste alcune delle grida di incitamento stuzzicate dalle scritte poste sulle nostre magliette. Interminabili mani tese dei bambini alla ricerca del cinque, frequentissime offerte di fazzoletti di carta, acqua e frutta da parte di questo splendido pubblico; un tifo da stadio con l’unica eccezione del quartiere ebraico, serio, con gli uomini un po’ fuori dal tempo con quei cappelli bombati e le treccine, non inclini a lasciarsi andare neanche per queste manifestazioni, ma sui volti dei loro ragazzini scorgevo comunque un sorriso e una partecipazione divertita, a stento contenuta. La partecipazione della gente durante la gara è stata bellissima, commovente, inusuale per noi che qualche gara di corsa su strada la ma di certo non siamo abituati a questo seguito e a questi incitamenti. Anche per questo sono pochi i maratoneti che non portano a termine la gara, la spinta è notevole. Congratulazioni per tutti dopo la gara e anche il giorno seguente. Si usciva tutti con la medaglia al collo, è usanza, è anche orgoglio. E la gente di New York non mancava di complimentarsi con noi finisher. Davvero la gente di New York è un valore aggiunto per una città bellissima.
La nostra gara
Purtroppo il cronometro non si è fermato dove ci sarebbe piaciuto ma la gara è stata portata a termine. Benedetto contava in cuor suo di poter avvicinare ancora di più le 4 ore e magari di chiudere sotto, anche se di poco. La sua gara è stata scellerata e divertita allo stesso tempo. Dopo il ponte di Verrazzano ogni tattica è stata gettata alle ortiche per una corsa ubriaca tra le strade piene di gente, a ritmi troppo veloci ma divertiti. Per qualche tratto ha corso con i pace delle 3:50. Non poteva farcela ma ha corso i 30 km più veloci e spassosi della sua vita; però al 35° km si è dovuto arrendere, le gambe non rispondevano più. E allora ha proseguito camminando, avvolto nella bandiera sarda per resistere al freddo degli ultimi km, 7 km che ha percorso in un ora e mezza, ma al traguardo la sua bandiera sarda era molto alta. Mino poteva chiudere sotto le tre ore e trenta, la sua preparazione è stata semplice, non ossessiva, aveva trovato una resistenza notevole e poteva fare un buon tempo senza strafare. Ma la maratona è una gara a sé, non guarda in faccia a nessuno. Il buon Mino è stato colto da un abbassamento di pressione in pullman mentre il gruppo raggiungeva la zona di partenza . E così dopo 15 km corsi a ritmi di tutto rispetto decide di rallentare per la paura di andare incontro a un malore già annunciato prima della partenza, e si arrende per farsi rapire da quell’incredibile bagno di folla concedendosi al gioco di un tifo che non ha eguali. Intorno al 30° km i crampi lo colpiscono e deve proseguire alternando il passo alla corsa e conclude in tranquillità grazie all’esperienza maturata con le precedenti 3 maratone, controllando le sue condizioni fisiche e godendosi lo spettacolo senza più degnare il cronometro di uno sguardo ed esibendo all’arrivo la sua inseparabile bandiera dei 4 mori. Antonio invece era cosciente della sua precaria preparazione, un solo allenamento di 30 km, molto studio per la conclusione della laurea a fine estate, diverse sedute serali a Poggio dei Pini. Una gara molto concentrata, attento a non sprecare energie e a tenersi lucido per il finale ma non disdegnando di cercare i fotografi italiani e l’incitamento della folla. E alla fine arriva anche lui e neanche troppo affaticato, migliorando di quasi 30 minuti il suo precedente tempo e con una contentezza assoluta.
Tornare a New York
Adesso ho capito perché nel volo Roma-New York c’erano moltissimi sardi alla loro 7a e anche 11a maratona. Io pensavo che fosse un cartellino da timbrare, un passo obbligato da compiere almeno una volta nella vita per chi ama la maratona e la corsa. E invece ora mi ritrovo a pensare di tornarci e di correrla nuovamente. Arrendiamoci a un pensiero ancora presente quindi, e diamo l’ arrivederci a una città speciale.
Benedetto Deriu